Piccoli miracoli, Sandra Cisneros

Il libro di oggi non è propriamente un libro che appartiene alla letteratura latinoamericana, ma alla letteratura chicana. Eppure sento che faccia parte del mondo che qui cerco di riportare, dentro questo piccolo blog che raccoglie un sentimento senza nome o che forse ne ha troppi, quel sentimento che accomuna il grande popolo che vive l'America Latina. La letteratura chicana è infatti quella scritta dai messicani che abitano negli Stati Uniti, che portano con sé, nella parte nord del continente, tutto ciò che significare essere messicani, che trapiantano un po' più in alto tutto ciò che sono e tutto quel che sanno, riproponendo le stesse modalità di vita in un luogo che sperano possa offrir loro qualche opportunità in più. 


Piccoli miracoli, questo è il titolo della raccolta di racconti di Sandra Cisneros, autrice dalla voce leggera che narra storie di donne qualunque, che portano sulle spalle la pesantezza invisibile degli altri, della cultura che veicolano, di chi pensa di poter privarle della loro vitalità e del loro potere decisionale. 

Nel leggere queste storie il primo sentimento che ho provato è stata rabbia, perché ognuna di queste donne protagoniste vive una vita che non ha scelto, che le è capitata, tutte vivono drammi che sono percepiti da loro come naturali, parte della vita quotidiana e no, non si domandano come siano arrivate a quel punto o come potrebbe essere la vita diversa da così. Prendono quello che viene, piegate da volontà altrui che le obbligano a stare dove stanno, a non farsi domande, a percepire la vita solo come un destino. 

Vorrei parlare di questo tema in un modo che non sia scontato ma mi appare tutt'altro che semplice. Vorrei avere parole meno banali, vorrei dire cose non già dette ma non sono sicura di averne e questo pensiero, a rifletterci bene, mi sorprende: vuol dire che ne parliamo tanto, che non si tace più, non si ha paura, non si chiudono gli occhi ma si parla, si spiega; non abbiamo più bisogno di presentare la donna come essere docile e casto. I libri ci offrono la meravigliosa opportunità di rileggerci sulle pelli delle altre donne, di offrire solidarietà, di sentirci sorelle nella condivisione di vite diverse ma tracciate su linee parallele. I libri ci consentono di raccontarci, senza occultare, modificare la nostra natura, i nostri infiniti modi di essere.  

Ho percepito la lettura di questo libro come un percorso interiore, perché mi sono ritrovata a chiuderlo e a pensare che invece non è così come lo avevo interpretato dall'inizio. Le nostre protagoniste non sono soltanto fragilità e accettazione, sono coloro che invece riescono a prendere tra le loro mani le briglie e intraprendono a loro discrezione il percorso a venire, improvvisando un po', ma con decisione. 

"Volevo che la mia vita cominciasse da lì, dal momento in cui ho tenuto in equilibrio il tuo esile corpo da ragazzo sul mio, quasi fosse fatto di balsa, quasi tu fossi una barca e io il fiume..."

Queste donne sentono la vita che appartiene loro, che scorre dentro di loro e ben presto scelgono di non farsi trascinare dal vento, ma lo domano e scelgono la direzione da prendere. Sembra che siano proprio queste donne, inizialmente timorose e deboli, a tessere ogni trama senza rumore, a rammendare i buchi che crea il destino nelle nostre vite. Non cercano spiegazioni, perché sono così salde e forti da sistemare quel che c'è, come viene, come accade, guidate da un'energia ancestrale che portano con sé in ogni luogo del mondo. Mi sembra come se avessero un altro alfabeto, parlassero una lingua incomprensibile ai più, che lega le une alle altre e le rende parte di un unico corpo. Con quanta forza reagiscono alle tragedie della vita, sembra che siano fatte appositamente per sopportare, sembra che siano state create con questo unico scopo, piegare la testa e sopportare; ma in realtà possiedono l'antica resilienza delle loro madri, delle loro nonne, delle loro bisnonne, l'abitudine al dolore, alle difficoltà della vita, ai soprusi. Questo è quel che mi spiazza in queste pagine, come senza esplicitarlo, l'autrice evidenzi l'abitudine alla sofferenza. 

"Mi sa che la gente non lo capisce mica cosa vuol dire essere una ragazza. Mi sa che la gente non lo sa mica che cosa vuol dire dover aspettare tutta la vita."

Poi, però, questa sofferenza è riconosciuta, accartocciata e nascosta sotto al letto, è onnipresente ma ha ora una forma riconoscibile. Così vince l'amore per se stesse, che porta, a volte, anche al riconoscimento del carnefice, di colui che ha creato la bolla in cui si credevano intrappolate e finalmente la fanno scoppiare. Ho amato la scaltrezza di queste donne, il modo in cui emergono: non donne solo dedite all'amore, bensì donne che reagiscono; non sono ombre silenziose e accomodanti, ma donne potenti, capaci di prendere posizione, di odiare, di provare risentimento, di sentirsi libere di ricominciare. 

"Come fa una donna ad essere felice in amore? Ad amare così, ad amare con la stessa intensità con cui odiamo? Noi donne della mia famiglia siamo fatte così. Non dimentichiamo mai un torto subito. Sappiamo amare, ma sappiamo anche odiare."

E non importa il passare del tempo che accompagna l'evoluzione della figura femminile qui descritta nei racconti, perché le donne di questi luoghi sono non solo il presente ma anche il loro passato e già il loro futuro, è come se tutto fosse già stato scritto, la percezione del tempo non conta, si resta immobili di fronte allo scorrere dei secoli ad affrontare la circolarità della vita. Gli eventi non cambiano, ma queste donne invece sì. 

Servirebbero molte altre parole per raccontare questo libro ma come al solito, meglio leggerlo, cosicché possiate trovare da voi le parole, possiate interpretare come me, o diversamente da me, questi splendidi racconti e quello che l'autrice ci ha voluto sussurrare attraverso le storie di queste donne ribelli che giocano con il destino. 

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