La rivoluzione in bicicletta, Mempo Giardinelli
Ammetto che la primissima ragione di acquisto di questo romanzo è stata la copertina. Una copertina tutta arancione, con la sagoma di un uomo nero con la sua bicicletta e che certamente ci ricorda qualcuno. Non sulla bicicletta ma di fianco alla sua bicicletta, come se questa fosse una vecchia amica accanto alla quale camminare, una specie di compagna di vita o di amica fedele probabilmente invecchiata assieme a lui.
Ed effettivamente è quel che è, una bicicletta che come il suo padrone ha visto tante cose e attraversato molti territori, è una bici vecchia almeno quanto lui, una di quelle che se anche il tempo passa non si possono abbandonare, una bici che rispecchia e racconta una lunga storia iniziata in Paraguay.
Questa è l'altra ragione per cui ho comprato questo libro, ho pensato: e chi l'ha mai letto un libro sul Paraguay? Non conosco assolutamente nulla del Paraguay se non la sua ubicazione, laggiù, piccolino, incastrato tra due giganti quali Argentina e Brasile, sembra quasi inghiottito, sicuramente un po' dimenticato e oscurato dalle storie degli altri Paesi. Aspettate, invece una cosa la so, appresa in un seminario sullo spagnolo d'America, e ho apprezzato ritrovarla nel libro: cioè che in Paraguay si parla il Guaranì, è la lingua ufficiale del Paese, una lingua indigena che emerge a volte nel testo e che nella traduzione italiana viene lasciata intatta, con nota traduttiva. Una scelta che mi piace sempre molto, che sa di autentico, che mi spedisce con la mente là e mi fa immaginare conversazioni in una lingua che non conosco e che mi affascina tremendamente.
Il nome di quella sagoma sulla copertina è Juan Bartolomeo Gaite, detto Bartolo, un uomo ormai vecchio che vive in una casa fatiscente, circondato da animali e figli difficili da enumerare; ma a guardarlo bene, quello stesso uomo è soprattutto un rivoluzionario paraguaiano costruito su immagine e ricordo di un personaggio realmente esistito, probabilmente amico del padre dello scrittore. Siamo nei lontani anni '40 e '50 e il Paraguay è nelle mani di Morinigo, un altro militare che in America Latina è riuscito ad instaurare una dittatura, che poi passa in quelle di altri uguali a lui o anche peggio di lui, come Stroessner. Bartolo è poco più che un ragazzo quando sceglie di lottare per la sua terra, per estirpare la dittatura e il marcio che questa ha portato; non ha con sé truppe ben organizzate, non possiede grandi risorse o potenti armi, tenta varie strategie con pochi successi ma anche la costanza dei fallimenti non gli fa cambiare rotta. Non c'è nulla al mondo che gli impedisca di crederci davvero, ancora una volta, di credere che sia possibile ricostruire il Paese, che si possa avere un Paraguay diverso, libero da usurpazioni e da violenze, un Paraguay dignitoso che non risponde ad un ideale politico specifico ma semplicemente ad uno che richiede umanità e rispetto per il suo popolo.
La rivoluzione in bicicletta alterna una relazione in prima persona ed una in terza; nella narrazione in prima persona Bartolo racconta ad un ipotetico interlocutore la sua vita, dall'alba della sua carriera militare all'organizzazione delle sommosse, dagli insuccessi alle avventure che si susseguono con dettagli precisi, vividi, indimenticabili nella memoria di chi ha lottato e crede ancora nel cambiamento: narra attacchi, strategie, descrive i mesi di prigionia e la verità è che racconta la sua storia come quella di tanti altri che, in Paraguay e in altre mille parti del mondo, hanno sofferto i soprusi di chi ha esercitato il proprio delirio di potere su un popolo inginocchiato, ferito, sofferente, povero ed immobile.
La parte in terza persona invece racconta gli anni di un Bartolo non più giovane, acciaccato, con qualche chilo in più e una pallottola conficcata nella pancia, esiliato in un'Argentina che lo ha accolto ma che lui sa non essere la sua patria. Nonostante l'età, il fervore della lotta rivoluzionaria brulica ancora nel suo cuore, Bartolo è in costante attesa di segnali ed informazioni; nonostante il tempo passato la sua vita ruota ancora attorno alla possibilità di tornare nel suo Paese per concedergli un futuro migliore, resta allerta e pronto alla rivoluzione. Se ne va in giro per il paesino in sella alla sua bicicletta alla ricerca di informazioni e soffiate, come se il tempo non fosse passato; ma forse un'idea a cui si è fedeli non si dimentica mai, non si può semplicemente offuscare, la si rispetta e la si ascolta. Resta in fermento, si autoalimenta, è un sentimento, una necessità che allontana tutte le altre e prevale su tutto.
Bartolo è un uomo a cui impariamo a voler bene nel corso della lettura, per quanto rude e burbero sia: perché non ci dà una visione distorta e falsa della sua storia, ce lo confessa che è un uomo distrutto, così come confessa anche di essere in grado di continuare a combattere. Ci appassioniamo alla sua causa perché in fondo, sotto a quell'aspetto di uomo selvaggio e aspro ritroviamo un ideale che riconosciamo anche come nostro, un desiderio di libertà, di ribellione che vorremmo essere capaci di rincorrere; lì sotto la pelle ruvida c'è amore, amore per casa sua, per la storia che porta con sé, per tutti i suoi compagni, per un ideale che sfida tempo e spazio.
Forse Bartolo è solo un antieroe, un Don Chisciotte destinato a fallire con le sue vittorie effimere, che in sella alla sua bici non ha grandi speranze di successo ma rimane fedele fino alla fine al suo credo. E forse è un'idea a tenerlo ancora in vita, l'idea di essere parte di un processo rivoluzionario che porterà al miglioramento del Paraguay, l'attesa della scintilla che tornerà ad accendersi perché, come dice Bartolo, "la rivoluzione rinasce sempre". Non ci sono altre ragioni di vita se non quella, persino la sua famiglia sembra avere un ruolo secondario alla rivoluzione:
"Cos'è più importante per te? La rivoluzione o la tua famiglia?"
"Sofismi" replicò lui, "per un rivoluzionario, la rivoluzione è parte della famiglia".
Non è possibile immaginare un'esistenza senza rivoluzione, soprattutto perché la rivoluzione è vista come unico strumento per ritornare in patria dall'esilio in Argentina; c'è molto amore per quel suo paese, ogni sconfitta non è altro che incentivo per pensare alla mossa successiva, al contrattacco e nulla lo smuove dal suo obiettivo: né una moglie che lo rimprovera costantemente, né la vita in clandestinità, lo sfratto imminente, la povertà della sua famiglia, nulla vale più del suo grande progetto, sempre in potenza e mai in atto, ma quel che conta è sperare.
Giardinelli cela perfettamente sotto la sua narrazione, a tratti anche ironica, una violenta critica a tutto il mondo latino; qui le dinamiche appaiono ovunque similari e si perpetuano nel tempo, un tempo in cui tutto sembra statico e immutabile e se cambia, non lo fa per il meglio. Questo romanzo è una finzione narrativa non poi così tanto distante dalla realtà, è un libro sulla capacità di perdere instancabilmente, ma che ci insegna a vivere alla luce dei nostri pensieri, dei nostri ideali, dei nostri sogni senza mai smettere di avere fiducia nel futuro.
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