Non è successo niente, Antonio Skármeta



Considero questo libro un gioiellino, uno di quei tesori inesplorati, silenziosi, che albergano la nostra biblioteca senza fare rumore, uno di quelli che si perdono sempre in mezzo agli altri e vengono dimenticati, assorbiti dallo spessore di quelli vicini. Ma non è nemmeno uno di quei libri che capitano per caso, che ti regalano per Natale o ti prestano gli amici, se è nella nostra biblioteca mi piace pensare che un motivo preciso ci sia. Nel mio caso era uno dei libri assegnati dal Professor Montes, il mio professore di letteratura all'Universidad de Chile, che uomo strampalato e magico! Era così preso dagli argomenti che sudava ad ogni lezione, provavo ammirazione e tenerezza per quel professore che insegnava sicuramente da anni, ma che non aveva perso un solo grammo della sua passione, anzi, ne aveva accumulata con cura. Tra i vari libri da leggere una settimana ci assegnò proprio questo, un libricino di poche pagine dal titolo No pasó nada, e il suo autore mi suonava; non riuscivo tuttavia ad identificarlo, mi ci è voluta qualche ricerca per scoprirlo. Skármeta è infatti l'autore de Il postino di Neruda, è possibile che ricordiate il memorabile film con Massimo Troisi e se non lo ricordate, vi consiglio di guardarlo. Ebbene, prima di essere un film era un libro, scritto proprio da questo autore cileno.

 
                                           Il postino, Philippe Noiret e Massimo Troisi, 1994

No-I giorni dell'arcobaleno vi dice qualcosa? Anche questo è un film di successo che ricalca un libro dal quasi omonimo titolo Los días del arcoíris, proprio dello stesso scrittore (e se il titolo non vi dice proprio niente, spero almeno che il suo protagonista lo faccia, è il meraviglioso Gael Garcia Bernal, bravo e bello come il sole). 



Ma torniamo al libro senza girarci troppo attorno. Al primo sguardo potrebbe sembrare quasi un racconto per la sua brevità, eppure penso che dentro ci sia molto di più. Penso che inserire il mondo di un ragazzino in così poche pagine e raccontare l'esilio con i suoi occhi non sia così semplice, eppure Skármeta lo fa in modo impeccabile, diretto, schietto, con una scrittura semplice e pulita, informale come quella di un adolescente, ma allo stesso tempo riflessiva e dolorosa. Gli occhi del giovane permettono all'autore di offrire un altro punto di vista, dove la sofferenza è più leggera, dove la voglia di ricostruirsi da capo è maggiore rispetto al desiderio di ricostruire quel che c'era, sentimento che domina generalmente in un animo adulto. 

Si tratta proprio di un romanzo dell'esilio in cui Lucho, il protagonista, racconta della propria vita in Germania, dove arriva con la famiglia fuggendo dopo il colpo di stato di Pinochet. E il suo nome non è di certo un caso, Lucho viene infatti dal verbo luchar, che significa lottare. E quella di Lucho è una lotta coi fiocchi, una lotta costante, contro quella cultura che lo accoglie ma che non comprende bene, contro i suoi genitori, contro quel groppo in gola che sente per aver  lasciato il suo Paese d'origine: è una lotta con sé stesso per trovare il suo posto nel mondo, per ritrovarsi, per poter imparare a sopravvivere, a cavarsela da solo. Se l'adolescenza non è mai facile, essere adolescenti in un Paese che non è tuo e in una lingua che non ti appartiene deve essere una sfida quotidiana di sopravvivenza. Eppure, con un cuore buono come il suo Lucho sa crescere, impara a farlo in modo diverso da come avrebbe voluto ma conosce l'amore, l'amicizia e anche quei sentimenti che non tendono a fare spesso parte del bagaglio di un ragazzino, come la nostalgia e la resistenza; e sarà proprio Lucho a condurre la famiglia attraverso questo nuovo mondo, sarà il codificatore, il traduttore, il primo a lanciarsi verso l'ignoto, con timore ma con desiderio. Lucho possiede in sé quella leggerezza giovanile che gli fa affrontare la sua condizione di esule con ampio respiro, con tranquillità, e ricrea anche in Germania una vita da adolescente, fatta di partite di calcio, di nuovi amici e primi strani amori. Leggiamo dunque non solo un romanzo d'esilio ma soprattutto un romanzo di formazione del giovane Lucho: è il racconto della ricerca di una nuova esistenza e Lucho impara presto ad essere un uomo, così gli è richiesto da un padre severo e dalla vita, che di certo lo scuote ma non lo spezza, che gli stravolge la vita ma che offre anche una seconda possibilità. Ecco cos'è questo libro: il racconto di una seconda possibilità afferrata con energia, una seconda occasione di vita non persa. Mi ha simpaticamente ricordato una piantina con stress da trapianto che, se cambiata di vaso, all'inizio smette di crescere, ma poi riprende a fiorire ed è più forte di prima. 

Probabilmente scrivere questo romanzo significò per Skármeta anche rivivere la propria storia, aveva 33 anni nel 1973 quando il golpe lo costrinse a fuggire; in Cile ci tornò solamente nel 1989, con la vittoria del NO al referendum cileno che rifiutava finalmente Pinochet al potere e che apriva la strada per un futuro democratico e libero, o almeno così si sperava. E questo doloroso momento storico è lo sfondo di tutto il racconto, di ogni azione e pensiero di Lucho, un ragazzino che affronta la sua malinconia con spensieratezza perché, in fondo, va bene così, non è successo niente.

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